1961-1978, l’«eterna amicizia» sino-albanese

I rapporti decennali tra Albania e Cina  ai tempi del Comunismo in un articolo a firma del Dr. Lorenzo Manca, dell’Università di Cagliari

(Wangsui weida de Zhong-A youyi : Lunga vita alla grande amicizia tra la Cina e l’Albania)

Premessa:

La politica estera della Repubblica Popolare Socialista d’Albania, sotto la guida di Enver Hoxha, è stata caratterizzata, fino agli anni Ottanta, da bruschi cambiamenti di direzione, che possono essere riassunti in tre fasi fondamentali.
La prima fase (1944-1948), che corrisponde ai primi anni del regime comunista albanese all’indomani della liberazione del territorio schipetaro dall’occupazione nazifascista , ha visto una stretta collaborazione tra Tirana e Belgrado. Alla base di tale collaborazione vi è il fatto che lo stesso Partito Comunista albanese, nato durante il periodo della resistenza antifascista, era stato creato e sovvenzionato dai comunisti jugoslavi. Una volta ottenuta l’indipendenza, tuttavia, l’Albania parve diventare irrimediabilmente una protuberanza politica della Jugoslava e un’area soggetta alle ambizioni regionali di Tito.
La seconda fase (1949-1961) è caratterizzata dalla rottura della “scomoda dipendenza” dalla Jugoslavia avvenuta a seguito della condanna, da parte di Mosca, al frazionismo di Tito. Tale episodio comportò, per Tirana, l’allineamento ufficiale con l’Unione Sovietica di Stalin, per il quale Enver Hoxha nutriva da tempo profonda stima e ammirazione.
La terza fase (1961-1978), infine, vide l’Albania stringere una singolare alleanza con la Cina maoista in reazione all’avvio del processo di destalinizzazione intrapreso da Nikita Chruščëv all’indomani del XX° Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica.

(francobolli albanesi di propaganda cinese e viceversa)

Lo scopo di questo articolo, è quello di illustrare quali furono le principali motivazioni che diedero luogo alla peculiare alleanza tra due Stati geograficamente e culturalmente agli antipodi, quasi totalmente privi di una reciproca conoscenza, ma che si rivelarono profondamente uniti nella lotta antikhrushcheviana, antiimperialista e, in particolare, antijugoslava: l’Albania di Enver Hoxha e la Cina di Mao Zedong.

A seguito della morte di Stalin, la politica avviata da Nikita Chruščëv negli anni Sessanta, tacciata di «revisionismo» sia da Tirana che da Pechino, ingenerò presto, insieme al processo di destalinizzazione, una lenta fase di ricostruzione della linea politica ed economica che coinvolse tutti i Paesi dell’orbita sovietica. All’interno del blocco comunista, solo un Paese riuscì ad opporsi in maniera talmente forte da, addirittura, arrivare a staccarsi dall’orbita sovietica: l’Albania di Enver Hoxha. Sebbene infatti alcune spinte centrifughe si presentarono anche nella Romania di Gheorghiu-Dej o ancora, sebbene per motivi differenti, in Ungheria, il regime albanese fu l’unico a rafforzare il suo assetto di tipo prettamente staliniano, frenando, allo stesso tempo, quel processo di forte discontinuità che stava avendo luogo nel resto dell’Europa Orientale. La politica di Enver Hoxha, in questo senso, si caratterizzò, per presentarsi come la realizzazione più pura dell’ortodossia marxista-leninista. In realtà, sia la politica interna che quella estera del regime albanese, tesero ad adottare una linea politica che, chiudeva ermeticamente il Paese da qualsiasi contatto con l’esterno fomentando, di pari passo, uno spiccato nazionalismo estraneo a tutti i Paesi socialisti d’Occidente, e più vicino, invece ai Paesi asiatici con un regime di tipo socialista.

(Enver Hoxha e Mao Zedong in un manifesto propagandistico degli anni Sessanta)

I Verso la Cina

Nel 1955 in piena fase di destalinizzazione, Chruščëv, senza consultare il parere degli altri partiti socialisti del blocco, dichiarò invalide le precedenti delibere del Comiform circa l’operato di Tito, e partendo a capo di una delegazione per Belgrado, avviò un processo volto a riabilitare l’immagine di Tito e della Jugoslavia all’interno del blocco socialista. Tale accaduto, addizionato alle pesanti critiche da parte di Chruščëv verso l’operato di Stalin a seguito del XX° congresso del Partito Comunista Sovietico del 1956, convinse Hoxha ad allontanarsi definitivamente da Mosca. Iniziò dunque per l’Albania, un altalenante periodo di ostruzionismo, più o meno diretto, nei confronti dei dirigenti del PCUS che si tradusse, dall’altra parte, in una sempre più marcata diminuzione degli aiuti economici e tecnici di Mosca verso l’Albania. Questo clima di tensione raggiunse il suo parossismo nel 1960 allorquando, la polizia segreta albanese (Sigurimi Sigurimi i Shtetit), scoprì un complotto pilotato dall’ Unione Sovietica e dalla Jugoslavia, volto a rovesciare il governo di Hoxha. Ne conseguì che in Albania cominciò un periodo di violente purghe con l’obbiettivo di eliminare, dai vertici del Partito del Lavoro d’Albania, tutti quelli elementi che, in precedenza, avevano nutrito simpatie filo jugoslave o filokruscioviane.
La Cina, in quel periodo, si trovava nella delicata fase di creazione ideologica del cosiddetto “maoismo”, un’ideologia che, peraltro, arrivò a influenzare le politiche di tutti quegli Stati che guardavano con sospetto la nuova linea adottata da Mosca e che vedevano nella Cina un modello di riscatto e una valida alternativa all’URSS. Anche la Cina, come l’Albania, poteva vantare una politica in forte attrito nei confronti di Mosca. I primi dissidi tra i due giganti del comunismo erano iniziati all’epoca della guerra di Corea, nella quale la Cina,
de facto, si impegnò a combattere, e vincere, una guerra fondamentalmente voluta da Mosca. La Cina inoltre, aveva cominciato a ritagliarsi una propria posizione autonoma nei confronti dell’Unione Sovietica all’indomani della conferenza di Bandung. Qui, la Cina di Mao Zedong cominciò a proporsi come alternativa al modello socialista sovietico di Nikita Chruščëv.

1956:Hoxha in Cina
1956: Mao con la delegazione albanese

L’Albania antirevisionista, a causa della sua posizione geografica, necessitava di un potente alleato che ne garantisse la sicurezza e la proteggesse dai vicini ostili. Dal canto suo, la Cina, per proporsi come valida alternativa all’URSS doveva contare, prima di tutto, sull’appoggio degli altri Stati socialisti d’Europa. Tuttavia, fatta eccezione per alcuni discreti da parte della Romania, l’unica vera alleanza che la Cina riuscì a cucire in occidente fu quella con il governo albanese. Principalmente a livello economico, infatti, quando tutti gli altri Paesi cominciarono ad annullare i commerci con Pechino, gli albanesi iniziarono a incrementare i loro rapporti politici ed economici con la Cina. Le relazioni sino-albanesi ebbero un forte sviluppo a partire dal 1956, anno in cui Hoxha, a capo della delegazione albanese, fu invitato in Cina per assistere ai lavori dell’VIII° congresso del Partito Comunista cinese. La delegazione albanese, guidata da Hoxha, Mehmet Shehu, Ramiz Alia e l’allora ministro degli esteri Behar Shtylla dopo un breve soggiorno in Mongolia e poi in Corea del Nord, arrivò a Pechino il 13 settembre del 1956. Gli albanesi furono accolti trionfalmente dai cinesi e, l’incontro di Hoxha con Mao Zedong fu ampiamente propagandato sia in Cina che in Albania.

1956: a destra l’incontro tra Mao Zedong ed Enver Hoxha
Una gigantografia del leader albanese per le strade di Pechino

II 1960-1961, la rottura con Mosca e il matrimonio con la Cina

La Cina e l’Albania, i due poli estremi del mondo comunista condividevano, dal punto di vista ideologico e dottrinale, grossomodo le stesse vedute. Ciò permise lo sviluppo di una politica di forte supporto reciproco che, nel giro di poco tempo, si tradusse in un’alleanza sbandierata dai due Paesi sotto la formula di “eterna amicizia” sino-albanese. Tale alleanza, che potrebbe sembrare totalmente assimetrica, fu avvantaggiata dalla comune linea politica squisitamente antioccidentale, antikhrushcheviana e soprattutto antijugoslava. Il revisionismo portato avanti da Chruščëv e Tito e, soprattutto, la politica della distensione verso il mondo capitalista, erano concepiti dagli albanesi e dai cinesi come una pericolosa deviazione del pensiero marxista-leninista che avrebbe presto portato al disfacimento del comunismo. Sia Hoxha che Mao, pertanto, non vollero mai accettare il processo di destalinizzazione avviato da Chruščëv ma anzi rimasero ancorati alla precedente linea staliniana esasperandone gli elementi più estremi (la purghe in Albania e il culto della personalità in Cina).

Se nel 1960 Mosca condannò ufficialmente la cosiddetta eresia romena, l’anno seguente, ebbe luogo una seconda condanna, questa volta ben più forte, nei confronti di Tirana. Ciò avvenne a seguito dell’ottantunesimo Congresso del PCUS tenutosi a Mosca nel 1961. Qui, Hoxha, il 16 novembre, pronunciò un lungo discorso in difesa della linea cinese rincarato da una pesante filippica contro Chruščëv e il suo operato. Mai, prima di allora, la direzione sovietica era stata attaccata così palesemente e oltretutto in casa propria. Così, l’intervento di Enver Hoxha portò a un punto di non ritorno nelle relazioni tra Tirana e Mosca. Chruščëv decise di sospendere ogni tentativo di riconciliazione tra Mosca e Tirana: vennero congelati, una volte per tutte, i rapporti tra i due Paesi e, all’inizio del 1961, analogamente a quanto era già avvenuta un anno prima per la Cina, gli specialisti e i tecnici sovietici che lavoravano nell’industria albanese vennero ufficialmente richiamati in patria. L’Albania, tuttavia, non si trovò repentinamente sprovvista di un aiuto economico. Già da qualche anno, infatti, la Cina aveva iniziato a fornire al futuro alleato balcanico consistenti aiuti sia in campo tecnico che economico. Gli aiuti economici che la Cina destinava all’Albania, inoltre, erano privi di interessi e sarebbero dovuti essere ripagati solamente quando l’Albania avrebbe potuto permetterselo.
Nel febbraio del 1961, si consumò il primo passo ufficiale nelle relazioni tra i due paesi attraverso la siglatura del fornimento, da parte Cinese, dell’aiuto per il terzo piano quinquennale albanese (1961-1965) che era stato revocato dai sovietici. Per l’occasione, la Cina stanziò un aiuto di 125 milioni di dollari da destinare al Paese balcanico per sviluppare e costruire 25 industrie chimiche, elettriche e metallurgiche.

III Il ponte tra Tirana e Pechino

L’alleanza tra Tirana e Pechino fu ampiamente pubblicizzata da parte dei due rispettivi Paesi. L’Albania aveva trovato in Mao l’alleato ideale e per la Cina risultò estremamente facile accontentare le richieste economiche del piccolo alleato balcanico che, grazie agli aiuti cinesi, poté diventare nell’arco di un decennio il secondo produttore di cromo al mondo. La piccola Albania, risultò essere un importante tassello geostrategico per i cinesi: da una parte, infatti, essa divenne la roccaforte del maoismo in Europa, permettendo così alla Cina di avere un canale preferenziale da usare in l’Occidente per la propaganda politica della “via cinese al socialismo”; dall’altra parte, l’Albania rappresentava un accesso diretto sul Mar Mediterraneo. Lo sbocco sull’Adriatico, infatti, permise alla Cina di usufruire della base navale di Valona, abbandonata dai sovietici qualche anno prima. La “roccaforte di Pechino nei Blacani”, risultò essere ben più rilevante di quanto si sarebbe potuto pensare. Infatti, fu proprio grazie al piccolo Paese balcanico che, a partire dagli anni Sessanta, venne promossa, presso l’Assemblea generale dell’ONU, una risoluzione ( la n° 2758) volta ad assegnare il legittimo seggio alla Repubblica Popolare Cinese in seno alle Nazioni Unite, al posto di Taiwan.

(Corriere della Sera, giovedì 11 marzo 1971, pag. 3)

Il 31 dicembre 1963 avvenne la prima visita ufficiale di Zhou Enlai in Albania. In tale occasione, il fautore indiscusso della politica estera cinese per ben tre lustri, visitò ufficialmente l’Albania e, il 9 Gennaio 1964, in occasione de suo discorso in Piazza Skanderbeg, il viceministro cinese, fu presentato all’acclamante folla da Mehmet Shehu. Quest’ultimo, con una formula trionfale aprì il comizio proclamando che: «l’amicizia e l’alleanza tra i nostri popoli e i nostri partiti è infrangibile. Vivrà in eterno per la giusta causa del socialismo e del comunismo.» A questa prima visita, Zhou Enlai ne fece seguire una seconda, nel 1965. Le visiste di Zhou in Albania furono un chiaro messaggio di sfida all’Unione Sovietica e riscossero una forte eco internazionale. La propaganda cinese nei confronti dell’alleato albanese, durante questo periodo aumentò considerevolmente. Fu in quetso frangente, infatti, che i cinesi cominciarono a prendere confidenza col loro lontano alleato. Nella stampa cinese, quasi ogni giorno, venivano pubblicati articoli filo albanesi in cui veniva esaltata la retta linea marxista-leninista e i grandi successi nell’edificazione del socialismo portati avanti dal regime di Enver Hoxha. I film albanesi cominciarono a essere doppiati in mandarino e trasmessi delle sale cinematografiche cinesi, stessa cosa avvenne per i romanzi dei grandi scrittori albanesi come Dritëro Agolli che diventarono estremamente celebri nel lontano Est. La propaganda filo albanese, peraltro, veniva indirizzata anche ai più piccoli. Nei libri di scuola dell’epoca le nozioni storiche e culturali inerenti all’Europa vertevano principalmente sull’Albania e i piccoli bambini cinesi imparavano canzoni1 in cui veniva esaltata la fraterna amicizia tra i due popoli. L’amore per l’alleato balcanico venne talmente esasperato che all’epoca i cinesi cominciarono a mettere nomi albanesi ai bambini appena nati convinti che il Paese delle Aquile fosse il più importante Paese dell’Occidente.

1 Un esempio può essere la canzone “歌声飞向地拉那(Gesheng fei xiang Dilana, “Le canzoni volano a Tirana”) il ritornello recitava: “I giovani popoli d’Albania e di Cina devono cantare insieme / Per augurare lunga vita al presidente Mao e lunga vita ad Enver Hoxha!(https://www.youtube.com/watch?v=9c-HlZwFzgQ)

Enver Hoxha, Zhou Enlai e Mehmet Shehu passano sull’auto presidenziale davanti a Piazza Skanderbeg
Un poster dedicato alla visita di Zhou Enlai in Albania

IV 1967-1968 La Rivoluzione Culturale Albanese

Il biennio 1967-68, vide i rapporti bilaterali tra Tirana e Pechino raggiungere il loro parossismo. In tale periodo, infatti, Hoxha, attraverso un ambizioso progetto, pensò di importare la Rivoluzione Culturale sulle sponde dell’Adriatico. Qui, il leader albanese cercò di innestare al contesto socio-politico-culturale schipetaro l’esperimento della Rivoluzione maoista che, nella sua variante albanese, prese il nome di rivoluzionarizzazione ulteriore. Tale esperimento, che si tradusse per l’appunto, in un adattamento, in salsa balcanica della rivoluzione che, di pari passo, si stava svolgendo in Cina, risultò per assurdo più riuscito rispetto all’originale orientale.
A dare ufficialmente avvio al processo della Rivoluzione Culturale in Albania fu la pubblicazione, da parte del dipartimento delle lingue straniere di Pechino, dell’edizione albanese del Libretto Rosso di  Mao. Per l’occasione, il Comitato centrale della RPC decise di offrire le 100.000 copie tradotte al popolo albanese come «un prezioso regalo da parte del fraterno popolo cinese». Nell’introduzione del volume tradotto era inclusa una dedica personale da parte di Mao, in cui si definiva l’Albania come «un faro del socialismo in Europa».

L’esperimento rivoluzionario comportò, sia in Albania che in Cina, un pressoché totale isolamento dal contesto internazionale e in questo periodo, l’Albania socialista rappresentò l’unico vero alleato con cui la Cina poté avere contatti e rapporti politici ed economici. I due Paesi raggiunsero una simbiosi senza precedenti, durante gli anni della Rivoluzione Culturale, uniti dall’impegno di condurre, attraverso l’esperimento rivoluzionario, l’edificazione di una nuova società che rispondesse in toto alla dottrina marxista-leninista.
L’esperimento rivoluzionario si mostrò estremamente utile per Tirana. Ventidue anni dopo l’inizio della dittatura in Albania, Hoxha riusciva finalmente a trovare il mezzo con cui portare avanti l’obiettivo che aveva sempre agognato: ricostruire dalle basi una
Shqiperia e Re (nuova Albania) sulle basi di una pura ideologia che, di fatto, era un misto di comunismo e nazionalismo. La Rivoluzione Culturale albanese, pertanto, non fu una mera trasposizione della Rivoluzione Culturale cinese nel contesto balcanico. Sia i presupposti che le finalità delle due rispettive rivoluzioni, infatti, erano completamente diverse. L’Albania, al contrario della Cina, non presentava la necessità di riformare i vertici del Partito, che anzi, erano assolutamente saldi e sotto il diretto controllo di Hoxha.

(Lunga vita alla RPC, alla RPA e ai suoi popoli fratelli!)

L’esperimento albanese dunque, fu un tentativo, (assolutamente riuscito) portato esclusivamente dall’alto di riedificare gli usi, i costumi e la stessa lingua albanese sotto la spinta della rivoluzionarizzazione ulteriore. In quest’ottica venne dapprima condotta una lotta alle religioni e al folklore locale che raggiunse il suo parossismo nel 1967 quando, dopo circa vent’anni di ateizzazione profonda, Hoxha dichiarò che l’Albania era il primo Paese al mondo a contemplare, nella propria costituzione, l’ateismo di Stato. (L’art. 55 del cod. penale albanese, infatti, puniva con la reclusione da 3 a 10 anni chiunque avesse fatto propaganda religiosa di qualsiasi tipo). Ispirandosi alle guardie rosse maoiste, Hoxha mobilitò gran parte dei giovani albanesi in una campagna di confisca di moschee, chiese, monasteri e altri luoghi di culto trasformandoli in musei, uffici amministrativi, officine meccaniche o cinema. L’opera di ateizzazione si fece sentire anche nella toponomastica, tutti i villaggi con i nomi dei santi furono rinominati. Allo stesso modo, venne vietato ai genitori di dare ai figli nomi religiosi, fossero questi cristiani o musulmani. Attraverso l’esperimento rivoluzionario, il regime albanese riuscì a operare, attraverso i mezzi di propaganda e repressione, un sempre maggior controllo sulla popolazione. Un esempio concreto dell’importazione dei mezzi rivoluzionari cinesi a scopo di controllo delle masse fu quello dei flete-rrufe, degli enormi poster di denuncia la nemico che, analogamente ai dazibao cinesi, ricoprivano l’intera lunghezza delle mura di scuole e fabbriche, con degli slogan contro la politica occidentale e i traditori del socialismo. Durante questi anni, si assistette a un progressivo consolidamento della figura di Hoxha come Capo indiscusso. Attraverso un ambizioso progetto, il leader albanese, si servì dei miti della storia albanese, dalla Rilindja a Skanderbeg, per identificarsi, al pari di quest’ultimo, come il grande Condottiero che lottava per l’incolumità e l’indipendenza del popolo albanese. Anche i corpi d’armata mutarono radicalmente, abbandonando le tradizionali tattiche dell’esercito comunista e preferendo la strategia maoista conosciuta come guerra del popolo, ciò comportò, tra l’altro, l’abolizione dei gradi e delle gerarchie militari.

(Le Guardie Rosse a Tirana)

L’esperimento della rivoluzionarizzazione ulteriore, comunque, riuscì ad apportare alcuni risultati positivi: il Kanun, il famigerato codice del diritto consuetudinario albanese venne talmente perseguito da riuscire a essere sradicato dalle tradizioni del nord montagnoso. Alla fede al proprio clan e ai vincoli di sangue si sostituì l’indiscussa fede al PPSH e al Compagno Enver e la gjakmarrja, la vendetta di sangue, fu ostacolata e repressa dal regime. In particolare, la linea rivoluzionaria promossa da Enver Hoxha si rivelò estremamente fruttuosa per le politiche volte alla parità dei sessi. Le donne, che avevano avuto sempre un ruolo marginale all’interno della vita albanese, soprattutto nel Nord dell’Albania, per via del Kanun, ottennero da questo momento posto nella vita politica e sociale del Paese. In realtà, già a partire dalla seconda guerra mondiale i comunisti albanesi diedero grande spazio alle donne, ammettendole tra le fila dei partigiani e considerandole un elemento essenziale dell’edificazione della società. Durante la Rivoluzione Culturale le donne vennero in ogni modo incoraggiate a prendere parte a tutti i lavori, consentendo a queste di proseguire i propri studi, diventare funzionarie statali oppure seguire dei percorsi formativi per apprendere lavori manuali e diventare in questo modo idrauliche o autiste.

Un libro di poesie di Dritëro Agolli, tradotto in cinese
Una donna albanese nelle vesti militari, le somiglianze con la divisa adottata dalle forze militari maoiste è notevole

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

V 1971-1978: Tirana prende le distanze da Pechino

Intorno alla fine degli anni Sessanta la Cina, portando lentamente a conclusione l’esperimento della Rivoluzione Culturale, stava cercando di uscire dal lungo isolamento degli anni precedenti. Il contesto internazionale era ormai profondamente cambiato: l’Unione Sovietica, con ormai a capo Leonid Brežnev, attraverso la brusca repressione della Primavera di Praga del 1968 aveva ridato al mondo la consapevolezza della minaccia sovietica. A guardare con estrema preoccupazione quanto accaduto in Cecoslovacchia, infatti, furono principalmente la Cina e la stessa Albania. Alla base di questa preoccupazione la Cina elaborò un piano che avrebbe presto dato il via al progressivo allontanamento di Tirana da Pechino. Nel 1968, infatti, la Cina suggerì all’Albania di stringere di un’alleanza militare con la Romania di  Ceaușescu e la Jugoslavia di Tito in modo da formare un blocco capace di far fronte a una possibile minaccia sovietica. Va da sé che Hoxha non prese minimamente in considerazione il consiglio dei cinesi ma, anzi cominciò a nutrire meno fiducia nei confronti della RPC. Hoxha infatti non riuscì a concepire la nuova linea della politica estera adottata da Pechino: questa, da una parte sembrava propensa a una distensione del conflitto sino-americano e, dall’altro, cercava di minare l’autorità sovietica in Europa Orientale spalleggiando i governi “revisionisti” di Ceauşescu e Tito. Durante questo periodo infatti, soprattutto la Romania, sembrò essere il perfetto rivale del vicino balcanico nella propaganda filo-cinese. Sebbene, “il genio dei Carpazi”, infatti, non fosse un purista della dottrina marxista-leninista come Hoxha, anch’egli si caratterizzò per volersi ritagliare uno spazio sempre più autonomo rispetto all’Unione Sovietica. Per fare questo Ceaușescu prese come esempio, dagli inizi del suo governo, i Paesi comunisti dell’estremo Oriente, soprattutto la Corea del Nord di Kim-Il-Sung, e la Cina, allo stesso tempo però, risultò essere l’unico leader socialista a ottenere l’appoggio politico, ed economico, dei Paesi occidentali e degli stessi Stati Uniti.

1968: Hoxha incontra alcuni esponenti delle Guardie rosse a Tirana

Come la Romania, anche la Cina si convinse che l’unico modo per fronteggiare il rivale sovietico fosse una distensione con gli “imperialisti” americani. Washington, sempre più interessata a minare l’autorità di Mosca decise di usare la carta romena per ottenere una progressiva distensione con la Cina di Mao. Così, Nicolae Ceauşescu si vide impegnato, durante il 1970, nel processo di mediazione sino-americana. Tale mediazione tuttavia venne presto sostituita, da parte cinese, dal canale pakistano poiché Pechino temeva che in Romania potessero esserci intromissioni del KGB sovietico. I risultati di questa mediazione furono propedeutici alla famigerata “diplomazia del ping-pong”, che costituì il punto di partenza per il progressivo riavvicinamento tra Washington e Pechino. Il 1971 in particolare fu l’anno in cui la Cina ebbe l’opportunità di rimettersi in gioco sul piano internazionale. Ad aprile dello stesso anno, infatti, venne invitata a Pechino la squadra americana di ping-pong. L’evento, che ebbe una forte eco internazionale, servì a preparare il terreno per la visita in Cina del consigliere per la sicurezza nazionale americana Henry Kissinger e, successivamente, per la visita dello stesso presidente Nixon. Hoxha, profondamente deluso dalla politica filoamericana intrapresa da Pechino, dedicò un lungo capitolo del diario Riflessioni sulla Cina, commentando:

«La questione dei giocatori di ping-pong è un pretesto per nuove iniziative in risposta ai passi compiuti, di tanto in tanto, dai vari presidenti degli Stati Uniti d’America in direzione della Cina. I giocatori di ping-pong americani sono stati ricevuti anche da Chou En-lai, cosa che deve essere considerata come un importante gesto politico nei confronti degli Stati Uniti d’America. Chou En-lai non solo li ha accolti con la sua tradizionale “cordialità”, (…) ma ha anche detto loro che la Cina desidera sviluppare relazioni amichevoli con il popolo americano. Nixon, (…) ha dichiarato di togliere l’embargo su molte merci non strategiche per la Cina, di esser pronto a sviluppare il commercio, e così via. Nello stesso tempo, secondo le agenzie di stampa, gli Stati Uniti d’America hanno ritirato le loro spedizioni di ricerche petrolifere dal Mar della Cina. A quanto pare, quindi, il ghiaccio si sta rompendo.» (HOXHA E., Shënime për Kinën (vol. II), 8 Nëntori, Tiranë, 1979 : 516)

I rapporti sino-albanesi erano ormai irrimediabilmente compromessi. E come ebbe a dire lo stesso Hoxha a tal proposito, «fatta eccezione per alcuni contatti veramente formali, l’Albania non era più l’amico fedele e speciale della Cina».

un manifesto propagandistico albanese
Hosteni, un giornaletto satirico albanese

VI La RPC entra nell’Onu grazie alla risoluzione albanese
Il 25 ottobre, lo stesso giorno in cui Kissinger si preparava a lasciare la Cina per ripartire a Washington, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò l’espulsione di Taiwan e l’assegnazione del seggio alla Repubblica Popolare cinese. Lo storico evento, fu il primo passo tangibile dell’avvicinamento tra la RPC e gli USA. Da tempo la risoluzione proposta dall’Albania per annettere Pechino ed espellere Taiwan incontrava sempre più voti favorevoli, sia dai paesi del Terzo Mondo che, ora, da Paesi occidentali come l’Italia o la Francia. La risoluzione albanese fu approvata con 76 voti a favore, 35 contrari e 15 astensioni. Sebbene i rapporti tra Tirana e Pechino fossero ormai, in un certo senso, compromessi, l’ingresso della RPC all’ONU venne orgogliosamente propagandato attraverso i giornali e le radio albanesi. Hoxha poteva finalmente vantare una vittoria schiacciante sul nemico imperialista in quanto «la risoluzione della piccola Albania era riuscita a trionfare contro il potente gigante del mondo capitalista.» Nel suo diario, Riflessioni sulla Cina, Hoxha commentò:

«La votazione ha avuto luogo ieri a mezzanotte e la nostra risoluzione, che chiedeva l’ammissione a pieni diritti della Repubblica Popolare di Cina all’Organizzazione delle Nazioni Unite e l’espulsione da questa organizzazione del cadavere di Chiang Kai-shek, ha ottenuto 76 voti favorevoli. La risoluzione americana non ne ha ottenuto che 35. L’imperialismo americano ha subito una grande disfatta politica. La lotta coraggiosa, coerente e aspra contro gli Stati Uniti d’America, è stata guidata dalla Repubblica Popolare d’Albania. Un piccolo ma indomabile paese socialista ha vinto contro il più potente Stato imperialista. Noi ci siamo battuti per una grande e giusta causa ed è per questo che abbiamo vinto.» (HOXHA E., Shënime për Kinën (vol. I), 8 Nëntori, Tiranë, 1979 : 621)

Nonostante ciò, le relazioni tra Hoxha e Mao arrivarono a un punto di non ritorno a partire dal 15 luglio 1971, data in cui il presidente americano Nixon compì la sua storica vita in Cina per incontrare Mao Zedong in persona. I mass media albanesi ignorarono e oscurarono la visita del presidente Nixon a Pechino. Hoxha visse l’accaduto come «un tradimento ai valori dei principi marxisti-leninisti, contrario alle idee e alle aspettative dei popoli comunisti e rivoluzionari dei due Paesi» e scrisse a Mao una lettera di diciannove pagine in cui esprimeva la sua ira per ciò che definì «un affare di merda», esortando allo stesso tempo Mao a tornare sulle vecchie e ortodosse posizioni di ostilità antiamericana. Mao respinse la lettera al mittente e fece sapere a Hoxha che l’Albania avrebbe fatto bene ad imitare l’esempio cinese, aggiungendo inoltre che non era gradita alcuna intromissione all’interno delle politiche estere cinesi.

La copertina del diario politico di Enver Hoxha “Riflessioni sulla Cina”
Un poster cinese di propaganda filo-albanese

VII Hoxha ammonisce Pechino

Nel 1974, avvenne l’ennesimo fatto che contribuì all’allontanamento tra i due Paesi, questa volta però, la battaglia di Hoxha fu particolarmente incentrata sul piano ideologico e dottrinale. Ad Aprile del 1974, , Deng Xiaoping, in occasione dell’Assemblea Generale Straordinaria delle Nazioni Unite dedicata alle materie prime e allo sviluppo, espresse la famigerata “teoria dei Tre Mondi” (San ge shijie lilun) di Mao Zedong. Secondo tale teoria, il sistema internazionale era strutturato in tre mondi: il Primo composto dalle due superpotenze Stati Uniti e Unione Sovietica, in competizione per l’egemonia mondiale e lo sfruttamento dei paesi più poveri (si noti bene che, tra le due, era ora l’Unione Sovietica a essere considerata il “nemico principale”); il Secondo costituito dalle forze medie alleate, vale a dire quei Paesi industrializzati come Giappone, Europa, Canada, Australia, Nuova Zelanda; il Terzo, infine, inclusivo dei paesi meno sviluppati e non allineati, ovvero il resto del mondo più la Cina. La teoria dei Tre Mondi, che di fatto cambiava la strategia ufficiale della politica internazionale cinese, venne profondamente contestata da Hoxha il quale, etichettandola come una nuova variante del modello revisionista, definì la teoria «una divisione del mondo fittizia, non di classe, non marxista» affermando inoltre che fosse assolutamente forviante parlare di una fantomatico battaglia tra tre mondi in quanto, in questo modo, si confondevano le nazioni con l’oligarchia che opprime i popoli.

Gemin zhantu diabiao dahui: Congresso internazionale dei popoli rivoluzionari

VIII Verso l’isolamento

Il 1976, risultò essere, per la Cina, un anno drammatico: l’otto gennaio morì Zhou Enlai, e il nove settembre, gli seguì Mao Zedong. La morte di del Grande Timoniere fu guardata con immensa preoccupazione dal dittatore albanese. In Cina infatti, approfittando del momento di assoluto incertezza politica, avvenne il tentativo di un colpo di stato da parte della famigerata “Banda dei Quattro”, composta da Jiang Qing, la vedova di Mao, insieme a Zhang Chunquiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen. Il gruppo rappresentava la fazione radicale interna al movimento comunista cinese che, in un certo senso, voleva costituire una linea di continuazione della politica della Rivoluzione Culturale e si opponeva alla linea riformatrice inaugurata da Zhou e Deng. Hoxha vide di buon occhio l’ascesa di questo gruppo radicale e, senza esporsi eccessivamente, decise di giocare la sua ultima “carta cinese” riponendo le sue speranze sulla vittoria della fazione radicale. L’esperienza della banda dei Quattro, tuttavia, risultò essere del tutto effimera. Infatti Hua Guofeng, il successore di Mao Zedong, sebbene avesse dimostrato fino ad allora un atteggiamento ambiguo verso la fazione radicale del PCC, decretò l’arresto del gruppo e la fazione radicale si estinse nel giro di poco tempo. Le speranze di Enver Hoxha per una “Cina Rossa”, potevano ormai considerarsi del tutto svanite.

1976: Mehmet Shehu ed Enver Hoxha commemorano Zhou Enlai recentemente scomparso presso l’Ambasciata Cinese a Tirana

La politica intrapresa in Cina da Hua Guofeng comportò una netta rottura col passato maoista soprattutto dal punto di vista economico. L’inarrestabile ascesa di Deng Xiaoping, infatti, diede avvio alla particolare esperienza cinese del cosiddetto “socialismo di mercato”. L’obbiettivo principale di Deng era infatti quello di salvare il comunismo cinese e dunque il PCC, dopo gli sconquassi dell’ultima fase di governo di Mao. Per riuscire in tale impresa, la nuova politica cinese intraprese due percorsi fondamentali: lo sviluppo economico e la conseguente ascesa politica della Cina in termini di prestigio internazionale, indirizzando il Paese nel mercato mondiale dei capitali e delle merci, abbandonando al contempo i criteri guida dell’egualitarismo e dell’autosufficienza che avevano caratterizzato la summa economica di tutta l’era maoista. A seguito delle suddette aperture operate da Pechino, Hoxha ne concluse che il Partito Comunista cinese si stesse trasformando in un partito borghese che avrebbe restaurato il capitalismo sotto mentite spoglie, pertanto, i rapporti verso Pechino furono ridotti al massimo della formalità e della freddezza. A peggiorare le relazioni tra i due Paesi fu, nel 1977, la visita ufficiale di Tito a Pechino. L’evento venne aspramente criticato da Enver Hoxha attraverso un lungo articolo dello Zeri i Popullit in cui si definivano i “traditori” cinesi «dei burattini degli imperialisti americani al pari degli jugoslavi». Dal canto suo, Pechino, nel 1978, decise di ritirare ufficialmente i suoi esperti, 513 stando alle cifre ufficiali, dal suolo albanese dichiarando che non vi sarebbe stata più alcuna fornitura di aiuti economici o militari nei confronti di Tirana. La roccaforte di Pechino nei Balcani, veniva ora smantellata e, al suo posto, i cinesi elessero la Romania a Paese favorito del maoismo in Europa Orientale. Dopo diciassette anni, l’eterna amicizia tra Pechino e Tirana era ridotta in polvere e l’Albania cominciò a isolarsi irrimediabilmente.

Il 29 Maggio 2017, ho avuto il piacere di conoscere Naxhimjie Hoxha, ex moglie di Enver Hoxha. La Signora Hoxha mi ha fatto regalo di una rara edizione del diario politico di Enver Hoxha “Riflessioni sulla Cina”. E’ stato un incontro emozionante che mi ha permesso di toccare con mano uno dei tasselli fondamentali della storia e della politica del Novecento.

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